ZABARGAD
La misteriosa Isola delle Pietre Verdi

Una spettacolare vista della laguna i cui colori contrastano con la bellezza selvaggia, ma desolata, della parte emersa.

Testi e foto di
Elver Degan Bianchet e Claudio Ziraldo

Il vulcanismo del Mar Rosso ha creato
l’isola di Zabargad e i suoi tesori geologici

Il Mar Rosso viene considerato dai geologi un oceano allo stato embrionale ed è una fra le zone tettoniche più attive della terra. È formato da un sistema di fratture che parte a Nord con i Golfi di Suez e di Aqaba e continua a Sud nel Golfo di Aden e nella Rift Valley dell’Africa orientale. L’apertura iniziale delle fratture, provocate dallo spostamento verso Nord-Est della zolla arabica, è avvenuta tra la fine dell’Oligocene e l’inizio del Miocene, circa 25 milioni di anni fa.

   

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In una zona di transizione tra la parte settentrionale del Mar Rosso e quella meridionale, dove esiste una fossa tettonica assiale quasi continua sulla quale poggia una crosta di tipo oceanico, si trova l’isola di Zabargad. È la località un tempo misteriosa, quasi sperduta, a metà strada tra storia e leggenda, e per questo ancor più ricca di fascino, da cui provenivano i limpidissimi cristalli di un minerale nella sua veste di gemma lucente verde-dorato: il crisolito, dal greco khrysólithos (pietra aurea), chiamato anche in gemmologia peridoto, attualmente più conosciuto in mineralogia per via del caldo colore verde oliva dei cristalli come olivina.

 

<< Una stupenda parata
      di cristalli di olivina,
      provenienti da
      una collezione privata.

 

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Oggi, dopo le ricerche intensive condotte negli anni ’70 e ’80 dagli scienziati che hanno studiano il ruolo del Mar Rosso secondo la teoria della tettonica a zolle crostali, questo fazzoletto di terra, che ha un’area di neanche cinque chilometri quadrati, è sicuramente una delle zone meglio studiate che si conoscano.
In generale si ritiene che Zabargad sia un frammento di litosfera del Mar Rosso sollevato tettonicamente che ha portato in superficie blocchi di peridotite proveniente dal mantello, ed è sicuramente l’unico luogo al mondo, o almeno l’unico che sia conosciuto, nel quale queste rocce durante la complessa storia del loro sollevamento (vengono da profondità comprese tra i 10 e i 30 chilometri dove esistono temperature di 800-1000°) non abbiano subito alcuna contaminazione e risultino particolarmente fresche.

<< Dal mare aperto si possono osservare
      le diverse conformazioni di roccia
      che hanno dato origine all’isola.

Uno degli angusti accessi delle      
antiche miniere di olivina.
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È impressionante osservare il risultato dello sconvolgimento geologico prodotto in milioni di anni da un’attività magmatica che ha metamorfosato rocce sedimentarie precedenti la formazione del Mar Rosso: rocce variopinte, corrugate, ripiegate e contorte si elevano fino alla quota di circa 235 metri dando vita alla collina chiamata dai geologi “Peridot Hill” (la collina del peridoto), la più meridionale delle tre masse peridotitiche osservabili sull’isola. Ed è sul versante orientale di questo rilievo, nei pressi di una importante zona di faglia, che furono estratti, all’interno dei filoni che intersecavano la peridotite fortemente alterata, gli splendidi cristalli di crisolito nella loro perfetta tipicità.
Molto abbondante in natura l’olivina è un nesosilicato di magnesio e ferro, ed è il componente essenziale delle peridotiti, di cui è costituito il mantello superiore della terra che, nella sua interezza, raggiunge uno spessore di 2900 chilometri. In queste rocce l’olivina si trova in granuli di piccole dimensioni, non adatti ad essere utilizzati come gemme. Liquidi molto caldi possono sciogliere questi granuli e successivamente, con un lentissimo raffreddamento, permettere l’aggregazione in cristalli più grandi, perfettamente limpidi e di grande qualità gemmologica. L’intensità del colore dell’olivina che va dal verde-giallo al verde smeraldo dipende dal contenuto più o meno alto di ferro presente nella sua composizione. Nel crisolito di Zabargad, oltre ai normali componenti, è stato riscontrato anche un alto contenuto di nickel, responsabile del vivacissimo e accattivante colore verde-germoglio, che rende particolarmente splendide le sue gemme rispetto a quelle provenienti da altri paesi e attualmente reperibili sul mercato. Il crisolito, diffuso in Europa durante il periodo delle crociate divenne noto come “pietra dei cavalieri”, fu molto usato nel Medioevo a scopi religiosi, simbolo della saggezza ma anche protezione contro i demoni, divenne la gemma più apprezzata del periodo barocco; oggi questa pietra semipreziosa, nonostante sia dotata di una forte birifrangenza (la proprietà di rifrangere e allo stesso tempo di scomporre in due raggi il raggio di luce che la penetra), che la fa risplendere come se fosse dotata di una propria luce interna, è poco ricercata per via della sua bassa durezza e della sua relativa fragilità, che la rendono una gemma delicata sensibile agli urti e a rigarsi facilmente (se portata al polso o alle dita), più adatta ad un uso di riguardo (come ad esempio i pendenti o gli orecchini) e solo se protetta da una adeguata montatura. Sono pochi i crisoliti importanti, rari quanto le pietre sfaccettate, che si possono attribuire con certezza al giacimento di Zabargad: questi risultano, a una attenta analisi, nettamente identificabili da quelli di altre provenienze per via delle inclusioni di minuscoli cristallini scuri di cromite e delle abbondanti inclusioni liquide che li rendono tipicamente unici. Tra i cristalli di crisolito ben formati rinvenuti a Zabargad e conservati nelle collezioni dei più importanti musei del mondo, con tutta probabilità il più grande, quasi perfetto, dalle dimensioni di 6,6x5,1x2,5 centimetri, fu trovato nel secolo scorso in una data indeterminata dopo il 1922. Per sua fortuna non venne tagliato: fu acquistato dal British Museum of Natural History con la finalità di essere esposto all’ammirazione di un più vasto pubblico. Sulle attività estrattive anteriori al XX secolo non si sa quasi nulla, tranne che erano sempre molto rudimentali: semplici cunicoli, certamente non molto profondi, che seguivano le vene affioranti di olivina, finché queste si esaurivano o gli scavi diventavano troppo pericolosi. Basta entrare in una qualsiasi di queste gallerie dove il caldo diventa subito davvero insopportabile per capire quanto le condizioni di vita e le attività estrattive siano sempre state durissime. Nemmeno le attrezzature relativamente moderne introdotte nell’attività mineraria del secolo scorso hanno recato molto sollievo ai minatori, i quali recuperavano le gemme setacciando i frammenti di roccia asportati dai cunicoli con carrelli o a spalla, lasciando cumuli di concentrati nei pressi degli sbocchi delle gallerie. Alcuni ruderi senza tetto, un malconcio pontile d’ormeggio, dei serbatoi arrugginiti, vari rottami metallici, lampadine sparse qua e là e qualche carrello da miniera rimangono quali ultime derisorie testimonianze della trascorsa attività estrattiva a Zabargad.


Appunti di viaggio

<< Nella baia di Dolphin Reef staziona
     regolarmente un branco di delfini
     (Stenella longirostris).

Con un po’ di fortuna e moltissima      
pazienza è possibile avvicinarsi al      
branco di delfini e nuotare con loro.
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L’isola di Zabargad è situata circa 28 miglia SudEst dall’estremità della penisola di Ras Banas, nel Mar Rosso centro-settentrionale in prossimità del confine col Sudan, 16 chilometri a Nord del Tropico del Cancro, esattamente a 23° 36’ 16” di latitudine Nord e 36° 11’ 42” di longitudine Est. L’isola ha una forma triangolare con i lati di circa 3 chilometri ed è circondata da una barriera corallina quasi continua che ha favorito la formazione di una bellissima laguna dai colori splendidi, una cornice che contrasta con la bellezza selvaggia ma desolata della parte emersa. L’unico approdo possibile si trova sul lato orientale, vicino ai resti di un minuscolo molo realizzato molti anni or sono. L’isola è disabitata, praticamente priva di acqua dolce e coperta solo da una scarsa e bassa vegetazione, esposta ai venti settentrionali e al sole davvero inesorabile; eppure non mancano alcune specie viventi: è il regno incontrastato di aquile, di Falchi pescatori (Pandíon haliáëtus) che costruiscono i loro imponenti nidi con stecchi, fuscelli e un po’ con tutto quello che di utile alla loro davvero laboriosa architettura riescono a trovare in giro, di Falchi della Regina, noti come Fálco Eleonórae, poiché prendono il nome dalla Regina di Sardegna Eleonora d’Arboréa che li aveva protetti con leggi speciali.

I falchi pescatori nidificano molto spesso sull’isola.

Questi rapaci che qui nidificano numerosi, hanno trovato un habitat ideale un po’ su tutte le isole aride situate lungo la rotta migratoria che collega l’Africa all’Europa. Se ne stanno rintanati durante tutto il periodo più cocente del giorno fino a quando il sole comincia a calare dietro i rilievi frastagliati delle colline. Solo allora la temperatura diventa più sopportabile e l’isola comincia ad animarsi di vita e con essa la lotta per la sopravvivenza. Il cielo diventa teatro di spettacolari volteggi: è la caccia ai piccoli migratori come gli esili Usignoli d’Africa o le Sterne che tentano con mirabolanti acrobazie di sfuggire agli artigli degli abilissimi rapaci, mentre al nostro passaggio stridi acuti persistenti, quasi minacciosi, di altri falchi adulti ci fanno intuire la presenza di nidi, ben mimetizzati tra le rocce. Il tramonto è uno dei momenti più magici che l’isola concede a chi si lascia rapire dall’incanto di questa terra desolata. Risalendo la piana alluvionale, lungo il percorso che conduce alle miniere abbandonate e nei dintorni della collina del peridoto, facendo un po’ di attenzione, è ancora possibile imbattersi in minuscoli frammenti di olivina che luccicano coi loro riflessi giallo dorati ai tenui bagliori del sole, e con un po’ di fortuna si possono rinvenire persino piccoli cristalli ben formati perfettamente puri e ricchi di faccette luminose. Non sono molto preziosi a dire il vero, ma sono pur sempre gli splendidi crisoliti di Zabargad! Sul lato Sud dell’isola, oltrepassate le tracce ormai evanescenti di probabili scavi antichi, lungo la candida spiaggia formata da sabbia corallina si allineano numerose orme simmetriche, tracce evidenti di un’altra presenza viva su quest’isola inospitale : tartarughe marine giunte sin qui per la deposizione delle uova. Di lontano, sopra un nido maestoso, un grande falco pescatore accudisce il proprio piccolo scrutandoci con attenzione. Poco distanti tre tombe. In una di esse, si racconta, ci sono le spoglie di uno Sheik, un santo musulmano. Accanto al sepolcro dell’eremita un cumulo di ossa di tartaruga ormai calcinate dal sole testimonia i resti del suo monotono desinare. Zabargad si raggiunge in un giorno di navigazione da Ras Qulan, una località a circa quattrocento chilometri a Sud di Hurghada, il percorso è disseminato da un dedalo di reef praticamente inesplorati, la maggior parte dei quali non segnalati dalle carte nautiche che indicano soltanto alcune grandi formazioni coralline. Tra queste ultime Dolphin reef, così soprannominata per la presenza di un branco stanziale di delfini che molto spesso si lasciano avvicinare in immersione.

<< Lungo la parete esterna di Roky Island,
      la vita esplode in una fantasmagoria
      di forme e di colori.

 

 

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Una grossa cernia tropicale
(Plectropomus marisrubri),
molto comune in queste acque ricche di vita.

Queste barriere si sviluppano parallelamente alla costa e, analogamente ai reef più settentrionali del Mar Rosso egiziano, sono caratterizzate dalla presenza di pareti verticali che scendono a grande profondità nel versante orientale, con cadute degradanti a quote inferiori su fondali sabbiosi, adagiati nel versante occidentale. La presenza di piccoli reef che, date le ridotte dimensioni, risultano individuabili solamente durante la navigazione, offre la possibilità di nuove ed entusiasmanti scoperte subacquee. Molto singolare ed interessante è la presenza di enormi formazioni madreporiche, spesso attraversate da profonde spaccature e grotte che danno vita a vere e proprie “cattedrali di corallo”, rese ancora più suggestive dalle particolari situazioni di luce che filtra dalla volta in determinate ore del giorno. Spettacolari coralli dalle forme più fantasiose, sono oltre quattrocento le specie finora catalogate, compongono una scogliera corallina ancora incontaminata, caratterizzata dalla presenza di estese formazioni di rigonfi alcionari di ogni colore, dai tenui colori pastello alle più accese tonalità del rosso. Spugne dalle forme curiose e più disparate, attinie di diverse specie, che ricoprono grandi spazi tanto da sembrare delle vere e proprie cascate, e vasti popolamenti di corallo nero, contribuiscono a formare scenari unici nel loro genere, regalandoci la sensazione di essere immersi in un vero e proprio giardino fiorito. In questo incredibile equilibrio naturale dove tutto sembra macroscopico, osserviamo come ogni più piccolo spazio sia in realtà colmo di vita e dove ogni centimetro di barriera sia un movimento continuo arricchito dalla presenza di ogni tipo di pesce.

<< Nelle immersioni notturne,
     nelle acque circostanti Zabargad,
     non è raro incontrare la “Ballerina Spagnola”,
     (Exabranchus sanguineus).

Gli squali grigi (Carcharhinus amblyrhyncos)      
pattugliano regolarmente le pareti      
a strapiombo sui versanti esterni dei reef.
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Acanturidi, Chetodonti, Labridi, Gaterinidi, Lutianidi, Pomacantidi e molte altre specie, per nulla intimoriti dalla presenza dei subacquei si lasciano tranquillamente avvicinare e fotografare. Squali grigi (Carcharhinus amblyrhinchos) e pinna bianca (Carcharhinus albimarginatus) pattugliano regolarmente le punte estreme e le secche più profonde, insieme a grossi carangidi, bonitos, barracuda e branchi di tonni rossi di enormi dimensioni. Nelle grotte e nei bui anfratti del reef non è raro incontrare squali che dormono adagiati sul fondo (Triaedon obesus). Particolarmente interessante e suggestiva l’immersione su un relitto non lontano dal pontile di Zabargad, adagiato su un fondale di 20/25 metri. Si tratta di una nave da trasporto, lunga circa settanta metri praticamente intatta, con un fianco appoggiato alla barriera.

<< Non lontano dal pontile dell’isola
     adagiato su un fondale di circa 25 metri,
     si trova il relitto di una nave da trasporto.

Nei pressi del grande reef di Abu Galawa      
i sub esplorano il relitto di una      
piccola imbarcazione da trasporto.
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Le sue lamiere, ormai parte integrante del mare, sono perfettamente conservate e appaiono ancora in tutta la loro imponenza quasi volessero continuare a dominare le acque, nonostante i coralli abbiano già cominciato a impadronirsi di parte delle strutture dello scafo. In superficie due malconce scialuppe di salvataggio restano l’unica probabile testimonianza del naufragio. Data la pericolosità per la navigazione delle innumerevoli costruzioni coralline non segnalate, altri relitti di età più o meno recente giacciono sui fondali più vicini. Ci siamo immersi su un’altra imbarcazione più piccola della precedente, un rimorchiatore di 30 metri affondato sul reef di Abugalawa, mentre abbiamo invano cercato un altro scafo, segnalato ai nostri marinai dall’equipaggio di una barca inglese, sul versante Sud di Zabargad. Un capitolo a parte merita Rocky Island, vera perla di questo itinerario. Si tratta di un piccolo isolotto a circa mezz’ora di barca dall’approdo di Zabargad, in direzione Sud-Est, abitato soltanto da diverse specie di uccelli che si fermano per nidificare, come le chiassosissime sterne, o per riposarsi, prima di riprendere le loro lunghe migrazioni. Di forma ovale, misura circa 100 metri di larghezza per 200 di lunghezza, è morfologicamente anomalo, assomiglia ai reef esterni sudanesi piuttosto che alle barriere del Mar Rosso settentrionale. Sprofonda infatti su ogni versante fino a quote da capogiro: le carte nautiche indicano una batimetrica alla base di oltre 600 metri. È un vero e proprio paradiso subacqueo, dove forme e colori si sommano in un insieme incomparabile. La notevole presenza di ogni tipo di pesce pelagico è motivo di grande emozione, ma sono gli squali martello i veri signori di queste pareti a picco nel blu. Abbiamo avvistato ad ogni immersione questi particolari selaci, a volte anche in gruppi di diversi esemplari e di ragguardevoli dimensioni. Lungo i ripidi pendii di questa piccola isola siamo riusciti ad attirare alcuni squali grigi che dopo alcune esitazioni hanno addentato le nostre esche, permettendoci di effettuare interessanti riprese video. Ricca di fascino e di suggestione è risultata anche l’immersione in un ridosso di Fury Shoal, noto come il grande Dolphin reef.

<< Sul fondale sabbioso della laguna di
     Dolphin Reef si trovano decine di
     anfore Romane ben conservate.

Un archeologo subacqueo mentre      
effettua alcuni rilievi del giacimento      
di anfore di Dolphin Reef.
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Nel novembre del 1991 questo luogo, per merito del noto fotogiornalista Pierfranco Dilenge, è stato il teatro di uno dei ritrovamenti subacquei più entusiasmanti: ad una profondità di appena sette metri giacevano una trentina di anfore romane del I sec. a.C. saldamente ancorate al fondo marino, intatte e perfettamente conservate. Un rinvenimento strepitoso che testimonia ancora di più l’importanza storica di questo mare nello sviluppo dei traffici commerciali tra l’occidente e l’oriente, da dove provenivano incenso, spezie, stoffe pregiate e pietre preziose. Abbiamo avuto la fortuna di vedere questo spettacolo straordinario qualche mese dopo la sua scoperta e la possibilità di effettuare un attento e preciso rilievo sia dell’intero campo che dei particolari delle anfore che lo costituivano. Considerata la vicinanza della costa, dato l’esiguo numero di anfore sotto i nostri occhi, ci siamo chiesti se si fosse trattato di un vero naufragio di una imbarcazione presumibilmente di piccola stazza, o se piuttosto quello non fosse il risultato del tentativo di alleggerire la barca per uscire da un incaglio. Restiamo tuttora con i nostri interrogativi, anche perché non ci risulta sia mai stata condotta una ricerca approfondita su questa suggestiva area archeologica. Oltre alla tipica fauna che caratterizza le immersioni notturne in questo mare : crinoidi di ogni colore, pesci addormentati nella loro livrea notturna o avvolti da una membrana protettiva di muco, ricci matita (Heterocentrotus Mammillatus) e grandi stelle cesto (Astroba nuda), abbiamo notato una notevole presenza della “ballerina spagnola” (Exabranchus sanguineus) uno splendido nudibranco scarlatto col mantello bordato di bianco, solitamente abbastanza raro, che in queste incontaminate acque cristalline ha probabilmente trovato un habitat privilegiato. Tra le tante curiosità ci ha particolarmente “stupito” l’incontro notturno con un piccolo serpente marino di colore bianco a pois neri, trovato alla base del reef su un fondale sabbioso di circa 10 metri. Per nulla intimorito dalla nostra presenza né disturbato dalla luce dei fari, ha continuato a nuotare sinuosamente per alcuni minuti per poi infilarsi in una cavità al vertice di un piccolo cratere di sabbia, probabilmente per cibarsi “del padrone di casa”. La sommità del reef è frequentata da mote aragoste, anche di ragguardevoli dimensioni, dal tipico colore scuro che la sera si danno appuntamento nel dedalo di coralli che costituisce inoltre l’ habitat ideale per piccoli crostacei (Stenopus - Rhynchocinetes - Periclimenes) . La “misteriosa isola delle pietre verdi” ed i suoi splendidi dintorni hanno completamente appagato le nostre aspettative ed ogni immersione ci ha regalato piacevoli sorprese ed entusiasmanti emozioni. Zabargad tra mito e leggenda rimane un’isola piena di fascino, lascia ancora spazio alla fantasia e all’avventura sopra e sotto il mare, è un occasione per esplorare luoghi incontaminati di rara bellezza, non ancora raggiunti dal turismo subacqueo di massa.


Storia di Zabargad

<< Una vista del deposito dei materiali
     di risulta degli scavi nelle miniere.

I resti di alcuni edifici in prossimità      
del pontile di approdo dell'isola.
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L’isola di Zabargad già 3500 anni fa forniva il miglior crisolito del mondo, dato che nel 1500 a.C. il giacimento era sfruttato dai faraoni della XVIII dinastia. Cristalli di peridoto sono stati ritrovati negli scavi archeologici di Alessandria d’Egitto, mentre esemplari tagliati vengono fatti risalire all’Antica Grecia. Gli antichi greci chiamavano Tópazion questa gemma assai apprezzata a cui veniva riconosciuta la curiosa proprietà di accrescere il buon senso. La presenza di una pietra tanto ricercata segnò il destino dell’isola che divenne una delle zone più controllate del mondo antico, come scrive nel I secolo a.C. lo storico greco Diodoro Siculo: “Gli egiziani tenevano l’isola sotto uno strettissimo controllo, e chiunque provava ad avvicinarsi ai tesori dell’isola senza autorizzazione - si permetteva solo di tentare di approdare e sottrarre dei crisoliti - era minacciato di morte.

Ulteriori notizie sulla pietra preziosa e sull’isola Tópazos sono state riportate da Gaio Plinio Secondo, noto come Plinio il Vecchio (23 - 79 d.C.), nel Libro XXXVII della sua monumentale Naturalis Historia:
Egregia etiam nunc sua topazo gloria est, e virenti genere et, cum primum reperta est, praelatae omnibus. Accidit in Arabiae insula, quae Cytis vocabatur, in quam devenerant Trogodytae praedones fame et tempestate fessi, ut, cum herbas radicesque foderent, eruerent topazon. Haec Archelai sententia est. Iuba Topazum insulam in Rubro mari a continenti stadiis CCC abesse dicit; nebulosam et ideo quaesitam saepius navigantibus nomen ex ea causa accepisse, topazin enim Trogodytarum lingua significationem habere quaerendi. Ex hac primum importatam Berenicae reginae, quae fuit mater sequentis Ptolemaei, ab Philone praefecto; regi mire placuisse et inde factam statuam Arsinoae Ptolemaei uxori quattuor cubitorum, sacratam in delubro, quod Arsinoeum cognominabatur.
Straordinario, ancor oggi, è il prestigio riservato al topazio, dovuto alla sua tonalità verde: ma appena fu trovato, fu anteposto a tutte le altre pietre. Accadde in un’isola dell’Arabia, che era chiamata Citis [già nominata a VI. 170 come produttrice di topazi], dove erano giunti dei pirati Trogloditi [Plinio intende chiamare con tale denominazione le popolazioni nubiane del Sud dell’Egitto stanziate verso le coste del Mar Rosso] sfiniti dalla fame e dall’inclemenza del tempo; accadde che, mentre dissotterravano erbe e radici, estraessero un topazio. Questa è la versione di Archelao [Archelao “il geografo” fu re di Cappadocia dal 36 a.C. (sotto la protezione di Antonio) al 17 d.C., quando la Cappadocia fu annessa da Roma]. Giuba [Giuba II di Mauretania, educato a Roma, scrisse in greco molte opere su vari argomenti, nel 25 a.C. ottenne in restituzione il trono che era stato del padre Giuba I, sconfitto da Cesare] dice che l’isola Topazio si trova nel Mar Rosso, a trecento stadi dal continente; che, siccome è nuvolosa e perciò cercata a lungo dai naviganti ha tratto il suo nome da questa ragione: topazin infatti nella lingua dei Trogloditi avrebbe il significato di “cercare” [il greco topazos sembra una parola che ha delle chiare assonanze di origine orientale]. Da lì, secondo Giuba, per la prima volta fu importato per la regina Berenice madre di Tolomeo II [che regnò sull’Egitto dal 283 al 246 a.C.], dal suo governatore Filone; piacque straordinariamente al re e se ne fece per Arsinoe [Arsinoe II, sposata da Tolomeo attorno al 275 a.C.], moglie di Tolomeo, una statua alta quattro cubiti [alta cioè circa 1,76 metri] la quale fu consacrata nel cosiddetto Tempio di Arsinoe.
Non sappiamo esattamente, date le considerevoli dimensioni, di quale materiale fosse fatta la statua, comunque il minerale che diede il nome all’isola venne chiamato poi crisolito, mentre oggi il nome topazio indica un’altra pietra preziosa completamente differente per natura e colore. Con la caduta della dinastia dei Tolomei, si affievolì anche il prestigio di una civiltà tre volte millenaria e la disorganizzazione di un’ impero allo sbando limitò o addirittura compromise l’estrazione delle olivine. Al tempo delle crociate questa gemma riapparve all’improvviso in quantità considerevoli. Gli occidentali scoprirono Zabargad e la chiamarono St. John’s Island, nome usato ancora oggi da alcuni gemmologi, poi dell’isola si perse lentamente la memoria. Ma la tradizione delle sue favolose miniere non si era estinta del tutto, ne hanno parlato molti viaggiatori tra cui l’esploratore inglese James Bruce, famoso per aver scoperto il Lago Tana e le sorgenti del Nilo Azzurro. In occasione di un viaggio lungo la costa del Mar Rosso nel 1768 chiamò Zabargad “Île des Emerauds”; la confusione tra le due pietre preziose non solo si riscontra in altri esploratori del secolo scorso: persino alcune importanti collezioni europee, compresi i tesori del Vaticano e dei Tre Magi a Colonia, contengono crisoliti erroneamente ritenuti smeraldi.
All’inizio del 1900 l’isola fu riscoperta come fonte certa delle splendide olivine che andavano comparendo sul mercato europeo, il suo nome è stato citato come St.John’s, Zeberget e Zebirget che in lingua araba significava anticamente crisolito. L’attività mineraria anche se molto rudimentale raggiunse il massimo sviluppo tra il 1906 e la prima guerra mondiale. Tutte le gemme trovate appartenevano al Kedivè Abbas II, il viceré turco dell’Egitto, prozio di Faruk. Nel 1922 il governo egiziano concesse i diritti minerari ad una società privata, la Red Sea Mining Company, che iniziò l’attività estrattiva solo due anni più tardi, introducendo nell’isola attrezzature relativamente moderne e proseguì lo sfruttamento delle miniere con proficui risultati fino allo scoppio della seconda guerra mondiale. Dopo la guerra l’attività estrattiva continuò in modo sporadico fino al 1958 quando il governo egiziano del Presidente G. A. Nasser nazionalizzò le miniere; Zabargad venne abbandonata e ritornò ad essere l’isola sperduta ed inospitale di sempre.

Riferimenti bibliografici

Bonatti E., Clocchiatti R., Colantoni P., Gelmini R., Marinelli G., Ottonello G., Santacroce R., Taviani M., A. A. Abdel-Meguid, H. S. Assaf & M. A. El Tahir - Zabargad (St.John’s) Island : an uplifted fragment of sub-Red Sea lithosphere - J. Geol. Soc. London, Vol. 140, 1983 , p.p. 677-690.

Degan Elver & Ziraldo Claudio - La misteriosa isola delle pietre verdi - Aqua, Gennaio 1993 , N. 75 , p.p. 60-69.

Gaio Plinio Secondo - Libro 37, Gemme e pietre preziose - Storia Naturale,
Vol. V de I Millenni , 1988 , Giulio Einaudi editore , par. 107 (32) / 108 ,p.p. 806-809
.

Gübelin Dr. Edward - Zabargad: The Ancient Peridot Island in the Red Sea - GEMS & GEMOLOGY, Spring 1981 , Vol. 17 Number 1 , p.p. 2-8.

Marinelli Giorgio - L’isola dei Topazi - Scienza 81, Vol. 1, N. 5 Ottobre, p.p. 16-24.